IL GIUDICE DI PACE
Premesso  che, con atto di citazione a giudizio redatto dalla Polizia
giudiziaria  di  Foggia in data 16 luglio 2005 e notificato in data 5
ottobre 2005 Russo Antonio, nato a Foggia il 2 giugno 1939 e Miccolis
Altomare,  nata a S. Feridinando di Puglia il 28 marzo 1953, venivano
rinviati a giudizio per rispondere dei reati in epigrafe;
     che  il processo subiva vari rinvii a causa della difficolta' di
provvedere  alla  notiflcazione  dell'atto  di citazione a giudizio a
tutte le persone offese;
     che,  precedentemente  incardinato  presso altro Istruttore, con
provvedimento  del  sig.  giudice Coordinatore del 26 aprile 2006, il
processo veniva assegnato a questo giudice;
     che  le  persone  offese  Viola  Marco,  Campanile  Lucia, Viola
Antonio e Viola Andrea, si costituivano parte civile;
     che, relativamente al capo b) dell'imputazione a carico di Russo
Antonio,  poiche',  dall'istruttoria  espletata,  e' risultato che la
malattia  di  Viola  Antonio  ha  avuto  la  durata superiore a venti
giorni,  con  provvedimento depositato all'udienza del 3 maggio 2007,
veniva  sollevata  d'ufficio eccezione d'incompetenza per materia del
giudice  adito  ed  ordinato  lo  stralcio,  con  formazione di nuovo
fascicolo  a  carico del predetto imputato da iscriversi nel registro
generale  onde  provvedere  alla relativa sentenza d'incompetenza per
materia;
     che,  alla  stessa  udienza  del  3 maggio 2007, la Difesa degli
imputati,  invocando la nuova disciplina normativa sulla prescrizione
dei  reati  di competenza del giudice di pace, introdotta dalla legge
n. 251/2005,   ha  chiesto  emettersi  declaratoria  di  non  doversi
procedere (ex
art.  129 c.p.p.) in ordine ai residuali reati ascritti agli imputati
(612  c.p.p.  per  Russo  - 612 c.l c.p. e 582 c.p. per Miccolis) per
intervenuta  prescrizione,  in  quanto,  essendo  i fatti accaduti in
Foggia  il  29  luglio  2003, sarebbe decorso (alla data del 3 maggio
2007)  il  termine  di  tre anni previsto dall'art. 157, comma 5 c.p,
maggiorato  di  un  quarto  (nove  mesi)  a  causa  delle intervenute
interruzioni;
     che  la Difesa degli imputati ha sollevato altresi' questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art.   157,  comma  5  c.p.  con
riferimento  a  Cass.  pen.  (Ord.),  sez.  feriale,  31 agosto 2006,
n. 29786   che  ha  statuito:  «E'  rilevante  e  non  manifestamente
infondata  la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 157,
comma  5,  c.p.,  come  sostituito dall'art. 6 della legge 5 dicembre
2005,  n. 251,  in  riferimento  all'art. 3 Cost., laddove prevede un
termine  di  tre  anni  per  la prescrizione dei reati per i quali la
legge  stabilisce  pene  diverse  da  quella  detentiva  e  da quella
pecuniaria»;
     che  il  giudice  rinviava  all'odierna udienza per decidere sul
punto.
Rilevato  che,  nel caso di specie deve farsi riferimento al disposto
del nuovo art. 157, comma 5,. c. p, in forza del quale, allorche' per
il  reato  la  legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da
quella pecuniaria, si applica il termine di prescrizione di tre anni,
che, in caso di interruzione, puo' essere aumentato di un quarto fino
a tre anni e nove mesi;
     che  tale  previsione  deve  essere  riferita  ai  reati oggi di
competenza  del  giudice di pace, per i quali, ai sensi dell'art. 52,
d.lgs.  n. 274/2000,  puo' essere irrogata nei casi di cui al secondo
comma,  lettere  a)  seconda  parte,  b)  e  c),  la  sanzione  della
permanenza   domiciliare  o  del  lavoro  di  pubblica  utilita',  in
alternativa, alla mera pena pecuniaria;
     che  il comma 5 dell'art. 157, c.p. suddivide, di fatto, i reati
di  competenza  del  giudice  di  pace,  in due categorie dalla quali
discendono  due  diversi  «trattamenti»  ai  fini della prescrizione:
quelli  piu' gravi, puniti con le pene della permanenza domiciliare e
del  lavoro di pubblica utilita', alternative alla pena della multa o
dell'ammenda,  godrebbero del termine discrezionale piu' breve di tre
anni  (aumentabile  a  tre  anni  e  nove  mesi  per  effetto di atti
internittivi);  quelli  invece  meno  gravi,  puniti con la sola pena
pecuniaria  (in  quanto, a nonna del primo comma dell'art. 52, d.lgs.
n. 274/2000,  «continuano ad applicarsi le pene pecuniarie vigenti»),
rimarrebbero   assoggettati   ai  piu'  lunghi  termini  ordinari  di
prescrizione  di  sei  anni  (aumentabili a sette anni e sei mesi) se
delitti, e di quattro anni (aumentabili a cinque) se contravvenzioni;
     che  proprio  sulla  scorta  di  tale considerazione si appalesa
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale  del  comma  5  dell'art.  157  c.p.,  come  novellato
dall'art.  6  della  legge  n. 251/2005,  per  violazione dell'art. 3
Cost.,  nella parte in cui, senza tener conto dell'effettiva gravita'
dei  reati,  ma  anzi  in  contrasto  con  la pena edittale prevista,
contempla   irragionevolmente  termini  di  prescrizione  diversi,  a
seconda che per il reato siano o meno irrogabili, in alternativa alla
pena  pecuniaria,  la  permanenza domiciliare o il lavoro di pubblica
utilita'.
Considerato  che  la  formulazione  del  comma  5  dell'art. 157 c.p.
appare,  a  dir  poco  incongrua  ed  irrazionale, potendo condurre a
risultati  di  manifesta illegittimita' costituzionale oppure mettere
in discussione la stessa possibilita' di applicare la disposizione;
     che l'irrazionalita' della norma emerge da numerosi esempi:
      1)  il  delitto di lesioni personali colpose gravissime, punito
con  la pena della multa o con la pennannza domiciliare ovvero con il
lavoro di pubbliche utilita', e cioe' con pena alternativa diversa da
quella  detentiva  e  da  quella pecuniaria, si prescriverebbe in tre
anni,  mentre  il  meno  grave  delitto  di lesioni personali colpose
lievissime, punito con la sola pena della multa, si prescriverebbe in
sei anni a norma del comma 1 dell'art. 157 c.p.;
      2)
se  taluno  minaccia di picchiare un altro individuo o lo percuote, i
delitti di cui agli artt. 612 e 581 c.p., puniti con pena pecuniaria,
sono  soggetti  al termine di prescrizione di anni sei, mentre, se lo
stesso  individuo  passa  effettivamente,  a vie di fatto, procurando
lesioni  lievi  (582,  comma  2, c.p.), il reato, punito anche con la
permanenza  domiciliare o lavoro di pubblica utilita', e' soggetto al
termine di prescrizione di anni tre;
      3)
uguali  incongruenze  si rilevano per il delitto di ingiuria semplice
rispetto  a quello di ingiuria aggravata ex art. 594, comma 2, c.p. e
per  il  delitto  di  percosse rispetto a quello di lesioni dolose ex
art. 582, comma 2, c.p.;
     che autorevole Dottrina (A.
                              Natalini
     ,  La  prescrizione  breve  : «aporia evidente». Ex Cirielli, un
altro nodo per la Consulta, 37 e segg.) ha ritenuto che la previsione
del  comma  5  dell'art.  157  c.p. deve essere considerata come «uno
schema  vuoto,  attualmente  inoperativo,  predisposto  solo  per  il
futuro»;
     che  l'irragionevolezza  della  norma in esame e' stata rilevata
anche  dall'Ordinanza  di  Cass. pen. , sez. feriale, 31 agosto 2006,
n. 29786,  nella  quale e' testualmente detto: «La previsione che qui
si  censura  appare  dunque essere priva di razionalita' intrinseca e
tale  da vulnerare, ad un tempo, il principio di ragionevolezza ed il
canone  della uguaglianza, presidiati dall'art. 3 Cost.. Come infatti
ha avuto modo di puntualizzare la giurisprudenza costituzionale, ogni
tessuto  normativo  deve presentare una «motivazione» obiettivata nel
sistema,  che  si  manifesta come entita' tipizzante del tutto avulsa
dai  «motivi»,  storicamente contingenti, che possono aver indotto il
legislatore  a  formulare  una  specifica opzione: se dall'analisi di
tale  motivazione  scaturira' la verifica di una carenza di «causa» o
«ragione»  della  disciplina  introdotta,  allora  e  soltanto allora
potra' dirsi realizzato un vizio di legittimita' costituzionale della
norma, proprio perche' fondato sulla «irragionevole» e percio' stesso
arbitraria scelta di introdurre un regime che necessariamente finisce
per  omologare  fra  loro  situazioni  diverse  o,  al contrario, per
differenziare  il trattamento di situazioni analoghe «(Corte sentenza
n. 89 del 1996). La disposizione oggetto di impugnativa appare dunque
essere,   ad   avviso   di   questa   Corte,  priva  di  una  «causa»
giustificatrice,   proprio  nel  senso  lumeggiato  dalla  richiamata
pronuncia  costituzionale,  giacche'  l'evidente aporia normativa che
con essa si introduce nel sistema non puo' giustificarsi alla luce di
nessun valore, esigenza o ratio
essendo  intrinseca  alla  intera  disciplina  che  il legislatore ha
inteso  novellare.  Da  tutto  cio'  la  conseguente  declaratoria di
rilevanza   e   non   manifesta   infondatezza   della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  157,  c.p.,  comma  5,  come
sostituito  dalla  legge  n. 251 del 2005, art. 6, nella parte in cui
appunto  prevede  che  quando  per  il reato la legge stabilisce pene
diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria si applica, per la
determinazione  del  tempo  necessario  a  prescrivere  il  reato, il
termine di tre anni, per contrasto con l'art. 3 Cost.».
Evidenziato che, poiche', in base al disposto dell'art. 58 del d.lgs.
n. 274/2000, le sanzioni «paradetentive» possono essere applicate dal
giudice  di  pace  in  via  facoltativa  ed alternativa rispetto alle
sanzioni  pecuniarie,  la  commisurazione del termine di prescrizione
verrebbe  fatto  dipendere  non  gia'  da  una  pena  prevista in via
astratta  (e di certa irrogazione), ma dalla teorica irrogabilita' di
una sanzione che in concreto puo' anche non essere applicata;
     che  mai  potrebbe  farsi  riferimento al tipo di trattamento in
concreto  irrogato, atteso che la prescrizione e' correlata alla pena
edittale prevista;
     che,   se  intesa  come  riferita  alle  pene  della  pennanenza
domiciliare  e  del lavoro di pubblica utilita', la norma non sarebbe
mai  applicabile in quanto priva di qualsivoglia concreto riferimento
per la mancanza della previsione normativa presupposta, in quanto non
risultano,    nell'attuale    istema    normativo,    reati   puniti,
astrattamente,  con  una  pena  che  sia un modo esclusivo diversa da
quella  detentiva  e da quella pecuniaria, e non anche applicabile in
via sostitutiva o concorrenziale rispetto a queste ultime;
     che  la permanenza domiciliare ed il lavoro di pubblica utilita'
sono sanzioni attraverso le quali non e' possibile identificare alcun
reato,  posto  che  la  legge  consente  al giudice di infliggerle in
alternativa  alla  pena pecuniaria, sempre prevista per tutti i reati
di  competenza  del  giudice  di  pace.  In  un solo caso - ma non si
tratta, appunto, di un reato - la legge (art. 52, commi 3 e 4, d.lgs.
n. 274/2000), a determinati presupposti ed in presenza di particolari
condizioni   soggettive,   impone  l'applicazione  della  pena  della
permanenza domiciliare o quella del lavoro di pubblica utilita'.